Ceterum mos partium et factionum

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view post Posted on 22/10/2012, 18:35




Ceterum mos partium et factionum ac deinde omnium malarum artium paucis ante annis Romae ortus est otio atque abundantia earum rerum quae prima mortales ducunt. Nam ante Carthaginem deletam populus et senatus Romanus placide modesteque inter se rem publicam tractabant neque gloriae neque dominationis certamen inter civis erat: metus hostilis in bonis artibus civitatem retinebat. Sed ubi illa formido mentibus decessit scilicet ea quae res secundae amant lascivia atque superbia incessere. Ita quod in aduersis rebus optauerant otium postquam adepti sunt asperius acerbiusque fuit. Namque coepere nobilitas dignitatem populus libertatem in libidinem vertere sibi quisque ducere trahere rapere. Ita omnia in duas partis abstracta sunt res publica quae media fuerat dilacerata. Ceterum nobilitas factione magis pollebat plebis vis soluta atque dispersa in multitudine minus poterat. Paucorum arbitrio belli domique agitabatur; penes eosdem aerarium prouinciae magistratus gloriae triumphique erant; populus militia atque inopia urgebatur; praedas bellicas imperatores cum paucis diripiebant: interea parentes aut parui liberi militum uti quisque potentiori confinis erat sedibus pellebantur. Ita cum potentia auaritia sine modo modestiaque invadere polluere et vastare omnia nihil pensi neque sancti habere quoad semet ipsa praecipitauit. Nam ubi primum ex nobilitate reperti sunt qui veram gloriam iniustae potentiae anteponerent moveri civitas et dissensio civilis quasi permixtio tarare oriri coepit.



Traduzione Italiana

Del resto, la divisione invalsa fra partito popolare e fazione nobiliare, con tutte le sue conseguenze negative, aveva avuto inizio in Roma pochi anni prima, causata dalla pace e dall'abbondanza di tutti quei beni che gli uomini considerano di primaria importanza. Prima della distruzione di Cartagine, il popolo e il senato di Roma governavano insieme la repubblica in armonia e con moderazione e i cittadini non lottavano tra loro per ottenere onori e potere: il timore dei nemici ispirava ai cittadini una giusta condotta. Ma svanito quel timore dai loro animi, subentrarono, com'è naturale, la dissolutezza e la superbia, compagne inseparabili della prosperità. Così quella pace che avevano tanto desiderato nei momenti difficili, una volta conseguita, si rivelò ancora più dura e crudele. Infatti la nobiltà trasformò in abuso la propria dignità, il popolo la propria libertà: ognuno si diede a prendere per sé, ad afferrare, ad arraffare. Così tutto fu diviso fra due partiti e la repubblica, che era sempre stata un bene comune, fu fatta a pezzi. Peraltro i nobili erano più potenti per la loro salda coesione, mentre la forza della plebe disorganizzata e dispersa nella massa si faceva sentire meno. In pace e in guerra si viveva secondo l'arbitrio di pochi; nelle loro mani erano erario, province, magistrature, onori e trionfi. Il popolo era oppresso dal servizio militare e dalla povertà, mentre i condottieri dividevano il bottino con pochi altri. Intanto i padri e i figli piccoli dei soldati, se per caso era loro confinante uno più potente, venivano cacciati dalle loro terre. Così l'avidità, assecondata dal potere, cominciò a propagarsi ovunque, senza modo né misura, portando con sé corruzione e distruzione e non avendo rispetto né timore religioso, finché precipitò in rovina da sola. Infatti, non appena emersero dalla fazione dei nobili alcuni uomini che preferivano la gloria a una ingiusta potenza, la città si scosse e la lotta civile si scatenò come un terremoto.
 
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